Racconti sulla guerra del 1943 a Vastogirardi

VITTIME INNOCENTI DELLA GUERRA



di Domenico Marchione

Era appena giunta la notizia del tragico bombardamento americano su Isernia che causò la morte di 4000 persone e distrusse l’intero centro abitato quando a Vastogirardi comparvero in piazza Vittorio Emanuele (Valle_Antonina), provenienti da Staffoli, le prime camionette dell’esercito tedesco in ritirata. Quel giorno era venerdì 10 settembre 1943. L’occupazione del paese da parte dell’esercito tedesco non durò molto, essi infatti abbandonarono il paese domenica 7 novembre 1943. La prima camionetta che arrivò si fermò in piazza per chiedere informazioni e fermò una bambina: Nicoletta Patete, che casualmente si trovava a passare; ma, visto che la ragazzina non comprendeva il tedesco, un passante le suggerì di chiamare suo padre: Edoardo che era stato in Germania a lavorare. Possiamo dire che nei due mesi di occupazione non si ebbero fatti violenti o cruenti nei confronti di persone tranne la minaccia di fucilazione del podestà e tutti gli uomini del paese dopo il fatto che vide protagonista proprio Edoardo Patete (di Giorgio) e che adesso cercherò di raccontare. All’epoca dei fatti all’inizio di via Re D’Italia, arroccata sulla sinistra, vi era l’abitazione di Nicola Grilli, più noto come “ Colagrill ” , questa abitazione aveva a livello di strada un piccolo locale ( na stalluccia) adibito a ricovero delle galline e deposito legname. I tedeschi durante la loro ritirata dopo l’attraversamento minavano ed abbattevano tutti i ponti per ritardare e rallentare l’avanzata dell’esercito Anglo-Americano. Con lo stesso obbiettivo cioè di ostruire la strada all’ingresso del paese, avevano programmato di abbattere la casa di Nicola Grilli depositando nella stalla una più che sufficiente quantità di esplosivo. Siccome di fronte alla casa del Grilli c’era e c’è ancora la casa di Edoardo Patete, che, preoccupato per i danni che l’esplosione avrebbe potuto causare, non solo alla sua casa, ma in tutto il paese, notte tempo, con coraggio e incurante del pericolo che correva si introdusse nella stalla ed asportò buona parte dell’esplosivo. Quando i tedeschi se ne accorsero minacciarono di fucilare il podestà Agostino De Dominicis ( il Meccanico) e tutti gli uomini del paese e solo l’intervento del podestà stesso e della Signora Medora Marracino, che parlava il tedesco, riuscì a convincere il comandante tedesco a non attuare quella minaccia perché l’esportazione dell’esplosivo era stata opera di una persona non sana di mente. Noi non sappiamo se i tedeschi credettero veramente al racconto della Signora Medora, ma, come ci riferisce oggi Nicoletta Patete la loro casa fu perquisita più volte dai militari tedeschi alla ricerca di suo padre Eduardo che, conscio del pericolo che correva, era sempre pronto a fuggire e spesso si nascondeva nelle siepi che erano sotto la loro casa. La minaccia della fucilazione fu evitata, ma non si riuscì ad evitare che facessero saltare la casa di Nicola Grilli. Dopo la guerra Nicola Grilli ricostruì la sua casa non allo stesso posto, ma di fronte alla casa abbattuta e vicino alla casa di Eduardo Patete. Oltre questo evento, molti altri furono i disagi che la popolazione dovette affrontare a cominciare dal proteggere le derrate alimentari, che molti sotterravano nelle vicinanze delle abitazioni,e tenere nascosti gli animali di ogni tipo che i tedeschi requisivano per ovvie necessità. Molti infatti avevano un maiale nascosto nelle campagne e gli animali da pascolo invece, durante il giorno si tenevano raccolti e nascosti nei boschi e durante la notte si portavano al pascolo. Queste mandrie poi si spostavano di nascosto ed in senso inverso all’avanzare dei tedeschi.


OTTAVIO SCOCCHERA

Aveva fatto cosi anche il Signor Gregorio Petrarca di San Pietro Avellana che appena i tedeschi avevano lasciato Vastogirardi , lui aveva spostato la mandria delle sue mucche da San Pietro Avellana a Vastogirardi e qui per la sorveglianza del bestiame aveva assunto, a tempo determinato diremmo oggi, il giovane Ottavio Scocchera di Alberto che era solito portare con se, per aiuto e compagnia, il cugino Nicola Scocchera di Basilio di sei anni più giovane . Nato nel 1928 Ottavio era il primogenito dei coniugi Alberto Scocchera ed Assunta Patete, all’epoca dei fatti la famiglia era composta dai genitori e dai quattro figli Ottavio, Olga, Ebe e Santino di soli 7 anni . A raccontarci oggi di Ottavio è proprio la sorella Ebe, “ Come prevalentemente accade in quasi tutte le case, le prime ad alzarsi son sempre le mamme, era cosi anche in casa mia, la prima ad alzarsi era sempre mamma e siccome Ottavio non voleva mai alzarsi, la prima cosa che faceva mamma era quella di incominciare a chiare Ottavio; sempre uguale “Ottavio arrizzate ca’ ze’ fa tardi” e dopo due o tre chiamate andava direttamente a tirarlo fuori dal letto.” Nulla di eccezionale, era perfettamente comprensibile che ad un ragazzo di 15 anni gli piacesse stare sotto le coperte specialmente se fuori fa freddo. Anche mercoledì 15 dicembre 1943 appena alzata Assunta andò in cucina, aprì gli scurini della finestra per far entrare la luce e scrutare il cielo, poi si diresse verso il camino, ripulì la cenere ammucchiata della sera precedente , diede una bella spazzolata con la scopa e riaccese il fuoco, preparò un paiolo pieno di patate, lo appese al gancio del camino per farle cuocere e farle trovare cotte ai figli per la colazione. A quell’epoca si faceva così in ogni casa del paese, la guerra con tutte le sue conseguenze si faceva sentire. Appena cotte le patate, Assunta “dette n’a voce”ai figli, ovvero li chiamò perché la colazione era pronta e visto che, come al solito, Ottavio non si presentava andò direttamente in camera a chiamarlo, ma qui con grande sorpresa vide che Ottavio si era già alzato “ma che strano, forse non si è sentito bene” pensò sua madre, che direttamente si diresse verso la porta di casa per vedere se era fuori, infatti aveva appena messo fuori la testa quando sentì abbaiare Bosco, il cane di Ottavio, quell’abbaio era come voler dire, stai tranquilla, siamo qui noi. “Si era proprio così “, continua Ebe,”Ottavio ed il suo cane erano la stessa cosa, ovunque c’era Ottavio c’era anche il suo cane e viceversa, come poteva non essere così, vivevano insieme dalla mattina alla sera, si rincorrevano tutta la giornata, lottavano e si rotolavano nei prati continuamente, Ottavio condivideva anche il cibo con il suo cane ,” Quando Ottavio arrivò in cucina, nel paiolo le patate cominciavano a scarseggiare, lui si affretto a fare una piccola scorta e si allontanò per proteggere il suo bottino. Nel frattempo Assunta aveva preparato il tascapane contenente pane e companatico che era il pranzo del giorno per Ottavio ed appena pronto, il ragazzo si mise a tracollo il tascapane e si diresse verso l’abitazione, poco distante, di suo zio Basilio per unirsi al cugino Nicola. Nicola però non era in casa perché si era recato a casa di un’altro zio; Vittorio Iannone calzolaio, in quanto aveva le scarpe rotte e voleva che suo zio le aggiustasse. Essendo la riparazione delle scarpe più lunga del previsto, quel giorno ad accompagnare Ottavio andò Luigi Petrarca, giovane fratello di Gregorio proprietario del bestiame. La mattinata trascorse regolarmente, i due ragazzi, oltre a badare le mucche avevano girovagato nei campi e lungo la strada che porta nella zona “Pantano “ dove quel giorno avevano deciso di portare al pascolo le mucche. Nel suo girovagare, Ottavio si imbatté in un oggetto sconosciuto, lo raccolse e lo portò con se. Dopo aver consumato il frugale pasto, nelle prime ore del pomeriggio, Ottavio si accovacciò sotto un albero per cercare di aprire, aiutandosi con due sassi, quello strano oggetto, di cui ignorava la provenienza e la pericolosità. Purtroppo quello strano oggetto era una bomba a mano ed improvvisamente la quiete e la tranquillità campestre furono rotte da un boato. Il primo ad intuire l’accaduto, sentito lo scoppio, e ad intervenire fu il ventiquattrenne carabiniere Luciano Leone che si trovava poco distante ad eseguire dei lavori in un terreno di sua proprietà. Luigi Petrarca, che era vicino ad Ottavio , era ferito lievemente ad un braccio, Ottavio invece, non aveva avuto scampo: la sua giovane vita era stata interrotta a soli 15 anni in zona Pantano in un nebbioso e freddo giorno di Dicembre del 1943. Luciano, vestì per quel’evento i panni del carabiniere: si fece portare un lenzuolo, coprì il corpo dilaniato di Ottavio, si preoccupò di avvisare le autorità e restò lì di guardia al cadavere impedendo a tutti di avvicinarsi. La notizia rapidamente si sparse in tutto il paese, ed anche mamma Assunta che si stava preparando per andare alla novena di Natale sentì che in contrada Pantano era morto Ottavio, forse per una inconscia autodifesa, non pensò a suo figlio, ma all’ omonimo Ottavio Ionna, in quel mentre avvertì dei rumori alla porta, lei andò ad aprire ma non c’era nessuno, a grattare sulla porta era stato Bosco che appena la vide le saltò addosso, abbaiò e tornò ad uscire. Troppo strana la presenza di Bosco senza Ottavio pensò Assunta e mentre un brivido di freddo attraversava il suo corpo chiuse un attimo gli occhi ed istintivamente anche lei si avviò verso il Pantano. Quando fu verso la Tragliareccia incontrò Giuseppa Spognardi (mamma di Stefano il Falegname) che vedendola le corse incontro e l’abbracciò dicendole “ Oh, povera Assunta che dispiacere questo povero figlio: un bambino morto così!”. Fu così che Assunta apprese l’atroce verità e subito il suo pianto e le sue urlla riecheggiarono in tutta la campagna. Ottavio non tornò mai più nella sua casa, Il cadavere fu portato alla chiesa della Madonna delle Grazie e il cane, Bosco, stette in chiesa per tutta la veglia funebre e la funzione religiosa sempre sdraiato accanto al suo giovane padrone. Dopo la sepoltura, Bosco, continuò a recarsi ogni giorno al cimitero, si sdraiava sulla tomba e stava lì senza mangiare, così Alberto lo portava per forza a casa e lo obbligava a mangiare ma il cane alla prima occasione scappava e tornava a sdraiarsi sulla tomba del suo padrone, quando il cane trovava il cancello del cimitero chiuso lo scavalcava, e rimaneva lì afflitto. Questo comportamento andò avanti per molto tempo, finché un giorno nessuno lo vide più: Alberto lo cercò ovunque e si rivolse persino ai Carabinieri. In famiglia ancora oggi quando si vuole definire un grande amore e una immensa fedeltà Ebe dice”sembra il cane di Ottavio”. Vivi ed indelebili gli eventi di quel giorno sono rimasti nei ricordi di Luciano Leone, che nel frattempo era divenuto mio suocero, e molte volte negli anni successivi abbiamo spesso riparlato di quel triste pomeriggio.




NICOLINO SCOCCHERA

Quando giunsero in paese le truppe tedesche, si dislocarono con i loro mezzi, armamenti e quant’altro serve ad un esercito, in zona campo sportivo, tragliareccia e dietro alla Madonna e fu proprio qui che alla loro partenza abbandonarono casse di materiali diversi. Alcune di queste casse contenevano materiale incendiario il cui aspetto poteva essere paragonato agli spaghetti: venivano infatti chiamati “ maccheroni ” ed erano probabilmente micce da utilizzare per pilotare le esplosioni. Ben presto questo materiale divenne preda di ragazzi e giovani che si divertivano a farli incendiare. Anche Nicolino Scocchera, figlio di Michelino Scocchera ( detto Faccia vritt ) e di Maria Grazia Marchione non più un ragazzino, ma giovanotto di 17 anni aveva fatto una scorta di quel materiale: forse voleva fare uno scherzo o forse voleva utilizzarlo per accendere la legna del camino, fatto certo è che, dopo essersi riempito le tasche di quel materiale, risalì verso il paese dirigendosi in via Roma dove a quell’epoca, al numero civico 20 si trovava una taverna “ Fliccella “. il cui proprietario era appunto Felice Celli; come realmente siano andate le cose nessuno lo sa, tuttavia sia la cugina Ebe che il fratello Ubaldo raccontano che Nicolino stava fumando quando vide arrivare Zì’ Ettore ( Ettore Magnacca ), per la paura di essere visto nascose in tasca, rapidamente e senza riflettere, la sigaretta così come forse aveva fatto tante altre volte. L’accensione delle micce fu immediata ed esplosiva: il materiale che aveva nelle tasche si incendiò e Nicolino fu completamente avvolto dalle fiamme, le sue urla richiamarono gli abitanti della zona che con ogni mezzo cercarono di spegnere le fiamme ma quelle micce continuarono a bruciare e con esse anche il povero giovane. Nicolino riportò ustioni su tutto il corpo ed il giorno successivo, avvolto in una coperta fu trasportato all’ospedale militare di Carpinone dove l’11 maggio 1944, dopo alcuni mesi di atroci sofferenze morì ed in quella cittadina fu sepolto.
Nel 1961 dal Ministero del Tesoro fu “ liquidata l’annua pensione di guerra di £ 12116 “ che passarono a £13680 il 21-12-1961 a favore di Scocchera Michele per la perdita del figlio Nicolino .




Ancora uno SCOCCHERA: DOMENICO

Purtroppo gli incidenti dovuti ai residui bellici non sono ancora finiti, infatti qualche anno più tardi sempre un altro ragazzo, ancora Scocchera, Domenico, figlio di Remo e di Lucia Marracino, perse un braccio sempre in seguito allo scoppio di un residuo bellico. Non si hanno notizie certe di quando e come sia accaduto realmente l’incidente ma sappiamo che Domenico si trovava in compagnia del nonno Marracino Donato alla masseria di sua proprietà.




NICOLA DI TELLA e LUIGI PATETE (ginott)

L’ultimo incidente dovuto a residui bellici si verificò il 19 agosto 1952 quando due ragazzini: Luigi Patete di sette anni e Nicola Di Tella di sei, come avevano già fatto altri giorni, decisero di andare verso i Colli, una zona collinare nelle vicinanze del paese ricca di piante di nocciole, in cerca appunto di noccioline, in dialetto “vullana”. Dopo essersi riempiti le tasche di vullana presero la strada del ritorno: Nicola seguiva regolarmente la strada, Gino invece saltellava da un sasso ad un altro quando scorse, adagiato sotto un grosso sasso, uno strano oggetto lucente; lo raccolse e lo mostrò a Nicola che, incuriosito, chiese all’amico di poter tenere lui quel curioso oggetto, Luigi rispose di no perché voleva portarlo al fratellino, anche lui di nome Nicola, di soli tre anni. Nicola offeso per il rifiuto, si allontanò da Luigi, ma improvvisamente sentì un boato e cadendo a terra vide volare in aria le scarpe e le calze dell'amico. Lo scoppio della bomba richiamò l’attenzione di alcuni contadini intendi a trebbiare il farro con i cavalli come si usava fare in quegl’anni. Nicola, lievemente ferito,venne portato a casa sulle spalle da un suo zio. Le ferite riportate da Luigi erano invece molto più gravi e sempre a spalla venne portato direttamente dal medico il quale dopo le prime medicazioni consigliò il ricovero in ospedale. Entrambi i ragazzi vennero portati all’ospedale di Agnone e dopo le dovute visite, Luigi fu trattenuto e Nicola subito dimesso. Per Nicola si era trattato solo di una brutta esperienza: come lui stesso ricorda, nonostante gli spostamenti e le visite, le sue tasche erano rimaste piene di noccioline e mentre aspettava la corriera che doveva riportarlo a casa, cercò un sasso, si sedette a terra e si mise a consumare “le vullana” raccolte in mattinata. Negli anni successivi entrambi furono ospiti presso l’istituto Don Orione di Roma che accoglieva i piccoli mutilati di guerra. A Roma frequentarono una scuola di avviamento commerciale fino al 1963 e successivamente, Luigi si trasferì a Gallarate, dove viveva una sorella e poche volte è tornato a Vastogirardi mentre Nicola, oggi tranquillo pensionato, ha svolto sin dai primi anni settanta la mansione di vigile urbano del paese. Anche se, come ho già detto non si ebbero fatti violenti o cruenti nei due mesi di presenza dei tedeschi, rimane pesante, con due giovani morti ed altri tre feriti oltre ai non citati militari caduti , il contributo dato dalla nostra piccola comunità alla triste avventura Italiana della Seconda Guerra Mondiale.



Ringrazio Ebe, Ubaldo e Maria Scocchera, Nicoletta Patete e Nicola Di Tella che mi hanno raccontato gli eventi qui riportati.

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